domenica 12 dicembre 2010

La locazione

ENZO DI MEO interviene su blog-immobiliare
LA LOCAZIONE
Il mercato immobiliare italiano ha dovuto fare i conti per oltre trent'anni, dal blocco dei fitti degli anni Sessanta alle norme sull'equo canone, entrate in vigore nel 1978 e rimaste invariate fino al 1992, con leggi che di fatto disincentivavano la locazione. Quando un proprietario non ha convenienza ad affittare secondo le leggi o cerca di vendere la casa o cerca di aggirare le leggi; quando un inquilino non trova chi gli affitta la casa a prezzo di legge appena può la casa se la compra.

Ora la situazione è cambiata. Nel 1992 i cosiddetti “patti in deroga” sono riusciti a scardinare uno degli aspetti più controversi dell'equo canone, l'obbligatorietà di affittare a canone stabilito per legge. Con la legge 431/98 alcuni aspetti fortemente limitativi dell'equo canone sono stati aboliti e il proprietario può scegliere se affittare senza nessun vincolo purché il contratto abbia una durata minima di quattro anni rinnovati automaticamente alla scadenza per lo stesso periodo oppure se locare a un canone concordato a livello comunale tra le associazioni di proprietari e inquilini, ottenendo in cambio la possibilità di ottenere una durata del contratto ridotta (tre anni più due di rinnovo automatico) e, soprattutto, la possibilità di accedere a sostanziosi sconti fiscali.

La legge ha vivacizzato il mercato e oggi nelle grandi città (dove la richiesta di locazione è percentualmente più forte) l'offerta è tornata a crescere e riguarda, anche se in quota modesta, immobili di un certo pregio. Un contratto di locazione però, anche con le nuove norme, fa nascere un rapporto che con una certa frequenza dà adito a litigi e incomprensioni tra proprietario e inquilino, dando lavoro ad avvocati e giudici. Per questo, prima di cercarsi una controparte, sia il proprietario sia il potenziale inquilino devono valutare molto bene con chi si ha che fare e, prima di sottoscrivere un contratto complesso come quello di locazione, pesarne il contenuto parola per parola.
LEGGI SUGLI AFFITTI
Trovare il giusto mezzo non è sempre facile: le cose poi si complicano quando in ballo c'è un bene primario come la casa. Quando un immobile viene locato da una parte ci sono le esigenze del proprietario non solo di ricavarne un reddito ma anche quella di poter rientrare nella disponibilità del bene quando ne abbia bisogno. Dalla parte dell'inquilino le esigenze di pagare un canone sostenibile e la certezza di avere il tempo per trovare un'altra soluzione quando bisogna sloggiare.

Non sta a noi giudicare se le soluzioni di compromesso adottate nel tempo dal legislatore siano le più idonee a contemperare gli interessi di proprietari e inquilini. Quello che possiamo fare è invece illustrare che cosa dicono le norme sulla locazione di appartamenti.

In concreto oggi si possono riscontrare cinque ipotesi. Le prime quattro sono previste espressamente dalla legge sulle locazioni oggi in vigore, la 431/98.

1) il proprietario è disposto a locare per otto anni (quattro più quattro di rinnovo automatico): può chiedere il canone che vuole;

2) il proprietario accetta di locare a un canone e a condizioni normative prefissate; in cambio il contratto dura 5 anni (tre più un rinnovo automatico di altri due);

3) il proprietario vuole locare per meno di 18 mesi perché avrà bisogno a breve della casa o perché ha trovato un inquilino con esigenze transitorie. Se l'immobile si trova in un comune considerato ad alta tensione abitativa dovrà locare a canone prefissato, negli altri comuni invece potrà locare a canone libero;

4) il proprietario vuole locare per un massimo di due anni a uno o più studenti universitari non residenti nel comune: deve chiedere lo stesso canone previsto per le locazioni a canone concordato, ma gode di sconti fiscali.

La quinta ipotesi invece fa riferimento alle norme, molto meno restrittive, del codice civile. Perché si possa fare un contratto così congegnato però deve ricorrere una o l'altra delle seguenti condizioni:

1) l'immobile è di lusso o sottoposto a vincolo storico-architettonico;

2) la locazione ha esclusivamente finalità turistica;

3) la locazione riguarda una foresteria: si affitta a una società, che utilizza l'immobile esclusivamente a dipendenti e clienti che non risiedono nel comune;

4) viene locato solo un box o un magazzino.
LOCAZIONE A CANONE LIBERO
La legge sulle locazioni prevede quattro tipi di locazione: libere, a canone concordato, per uso transitorio e per studenti universitari. L'ipotesi di gran lunga più frequente però è la prima. Proprietario e inquilino si accordano liberamente sul canone e il contratto dura quattro anni tacitamente rinnovati per altri quattro salvo alcune eccezioni..

Quella della durata è l'unica prescrizione tassativa della legge; se le parti si accordano per durate inferiori il contratto non è nullo ma vengono annullate le pattuizioni riguardanti il canone, che viene ricalcolato secondo le regole dei contratti concordati.

Naturalmente il canone va stabilito una volta per tutte e non può essere mutato nel corso della locazione. Il suo aggiornamento può essere per contratto stabilito secondo i criteri più vari, ma la prassi è quella di determinarlo al 100%dell'indice Istat del costo della vita.

Ci siamo soffermati su questi aspetti perché sono le uniche disposizioni veramente obbligatorie della legge; per il resto proprietario e inquilino possono concordare le condizioni che più ritengono opportune. Questo significa che il contratto può essere tranquillamente sbilanciato a favore del proprietario o a favore dell'inquilino. Perciò non bisognerebbe mai firmare acriticamente un prestampato come quelli liberamente in vendita nei negozi specializzati. Noi riportiamo uno schema contrattuale che pur lasciando, com'è logico, un certo margine alla contrattazione individuale (e una libertà assoluta nella determinazione del canone) dà garanzie di equità, perché è stato a suo tempo concordato tra importanti organizzazioni dei proprietari, e sindacati degli inquilini.

Al contratto andrebbe allegato un verbale di consegna e, soprattutto, la tabella di ripartizione delle spese di gestione dell'immobile. I criteri genericamente indicati dal codice civile, agli art. 1576 e 1609, che attribuiscono all'inquilino l'onere delle spese di manutenzione ordinaria e di piccola entità, non sono sufficienti a precisare chi debba pagare che cosa. La cosa migliore è indicare con precisione minuziosa come dividere le spese e accordarsi su tutto, fatto salvo che le spese di straordinaria manutenzione (il tetto, la facciata ecc) rimangono in genere a carico del proprietario.
Il proprietario ha anche la possibilità di chiedere un incremento annuo del canone che lo ripaghi dell'inflazione. Nella vecchia normativa il livello massimo di incremento annuo era pari al 75% dell'indice Istat del costo della vita per operai e impiegati. Con le nuove norme si può arrivare anche al 100% o, addirittura, scegliere altri parametri per calcolare l'incremento, se li si specifica chiaramente nel contratto.

Per le spese straordinarie, il contratto può (attenzione: è una facoltà, non un obbligo), contenere una clausola, ripresa dal vecchio equo canone, per cui il proprietario ha diritto di richiedere, ogni volta che affronti una spesa straordinaria, un aumento del canone annuo pari all'interesse legale (oggi è il 3%) sul costo sostenuto.

Le due clausole che abbiamo segnalato di per sé non sono né eque né inique: semplicemente sono aspetti su cui mettersi d'accordo. Meglio pesare le parole del contratto prima di firmarlo che andare dopo da un avvocato per farle interpretare.
CONTRATTI A CANONE CONCORDATO
La legge 431/98 ha tra le pieghe anche une edizione "riveduta e corretta" dell'equo canone: i contratti a canoneconcordato o convenzionato. Le associazioni più rappresentative a livello locale dei proprietari e degli inquilini stabiliscono le modalità di valutazione degli immobili residenziali e, per ogni tipologia individuata, definiscono un canone minimo e massimo.

Questi contratti rispetto a quelli del tutto liberi hanno due differenze fondamentali. la prima è che durano meno (tre anni più due di rinnovo automatico alla prima scadenza).

Agevolazioni fiscali.

Per incentivare la proprietà propongono tre interessanti sconti fiscali.

1) L'imponibile Irpef (la parte del canone, cioè, che va dichiarata sul 730 o sull'Unico) è del 59,5%, anziché l'85% ordinario;

2) L'imposta di registrazione (che proprietario e inquilino devono di norma pagare metà per uno) è dell'1,4% annuo sul valore del canone, anziché del 2%;

3) I comuni possono (ma attenzione, non devono) stabilire aliquote più basse per l'Ici o maggiori detrazioni. Quasi tutti i capoluoghi di provincia l'hanno fatto.

Per gli inquilini di basso reddito poi sono stabilite detrazioni fiscali sulla dichiarazione dei redditi rispettivamente di 495,80 euro (se il reddito complessivo che non supera euro 15.493,71), e di euro 247,90 (se il reddito complessivo giunge fino a 30.987,41 euro). Oltre questa cifra, niente detrazioni.


Convenienza

Quando conviene fare questi contratti? Il punto di vista che conta, in questo caso, è quello del proprietario. Infatti è lui a decidere se locare o meno.

Se si guarda al lato economico e non alla durata minore del contratto, si possono dare queste indicazioni di massima: quando il canone concordato è inferiore fino al 15% rispetto a quello che si otterrebbe sul mercato libero, conviene senz'altro seguire questa strada; se la differenza è tra il 15 e il 25% la scelta è pressoché indifferente; se il "delta" supera il 25% conviene stipulare senz'altro un contratto libero.
MECCANISMI A CANONE CONCORDATO
Ma come funzionano questi contratti? Non è facile spiegarlo, data la loro grande varietà Ad oggi si applicano i criteri individuati dal Decreto ministeriale 30/12/2002. Cioè le organizzazioni di proprietari e inquilini hanno firmato, in ogni città capoluogo e anche molti comuni di dimensioni grandi, un accordo che stabilisce:

a) la ripartizione del comune in zone, a seconda del valore immobiliare dei quartieri;

b) la classificazione degli appartamenti, a seconda del tipo di dotazioni e dello stato manutentivo.

A seconda di questi due criteri (dislocazione degli appartamenti e pregio e dotazione del singolo appartamento) viene individuato un canone minimo e uno massimo. Vi è libera trattativa, tra proprietario e inquilino, per determinare l'ammontare del canone tra questi due estremi.

L'accordo locale prevede tra i propri allegati anche i modelli di contratto da utilizzare obbligatoriamente, oltre a una tabella per la ripartizione delle spese tra proprietario e inquilino. Una raccolta abbastanza completa degli accordi firmati a livello locale si trova nei siti di Confedilizia, Confappi, Sunia, Sicet.

Il decreto vara innanzitutto modelli contrattuali da utilizzare obbligatoriamente, validi per tutta Italia. Inoltre prevede una ripartizione delle spese tra proprietario e inquilino rigida, anche questa valida per tutta Italia. E poi è stabilito spesso un principio: in caso di variazione dei tributi fiscali sull'unità immobiliare locata, in più o in meno, rispetto a quella in atto al momento della stipula del contratto, la parte interessata può adire la Commissione di conciliazione, la quale determina, nel termine perentorio di novanta giorni, il nuovo canone da corrispondere.

Insomma, per proprietario e inquilino che vogliano far da sé, l'applicazione del canone concordato è un'impresa assai difficile.

Anche se ci si fosse procurato il modulo di contratto giusto e si fosse in grado di effettuare i calcoli, resta praticamente necessario (anche se formalmente non è obbligatorio) rivolgersi ai sindacati dei proprietari e degli inquilini perché assistano alla stipula del contratto. Infatti l'interpretazione degli accordi territoriali è così difficile, che conviene mettersi al sicuro con la controfirma delle rispettive associazioni, a scanso di brutte sorprese future.

Alleghiamo lo schema tipo di contratto concordato a livello nazionale allegato al nuovo Decreto e valido per i piccoli proprietari (ve n'è uno anche previsto per gli Enti e per i proprietari di più di 100 appartamenti).
LOCAZIONI LIBERE E CONVENZIONATE
Non è un vezzo dire che i contratti convenzionati durano tre anni più due, anziché cinque oppure che quelli a canone libero durano quattro anni più quattro invece che otto. Nella realtà dopo i primi tre o quattro anni (periodo minimo di durata) potrebbe verificarsi una delle 7 condizioni previste dall'art. 3 della legge 431/98 per cui il proprietario può chiedere di liberare l'alloggio. Queste sono:

1) il locatore o un suo familiare entro il secondo grado hanno bisogno dell'immobile per viverci o per svolgervi un'attività lavorativa;

2) il locatore svolge un'attività di utilità pubblica e offre in cambio all'inquilino un altro immobile idoneo;

3) l'inquilino ha la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;

4) l'immobile è compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba essere assicurata la stabilità e la permanenza dell'inquilino costituisca un ostacolo al compimento di indispensabili lavori;

5) l'immobile si trova in uno stabile del quale è prevista l'integrale ristrutturazione;

6) l'inquilino non occupa continuativamente l'immobile senza giustificato motivo;

7) il locatore intende vendere l'immobile a terzi e non ha la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello adibito a propria abitazione.

Nella settima ipotesi all'inquilino va riconosciuta la prelazione; ciò significa che il proprietario deve comunicare all'inquilino la sua intenzione di vendere e il prezzo che intende ricavare. Se l'inquilino accetta, compra, se non accetta il proprietario può vendere a chi vuole ma a un prezzo non inferiore a quello proposto all'inquilino. Se non viene effettuata la comunicazione oppure se il proprietario vende a un prezzo inferiore l'inquilino entro un anno dalla trascrizione del rogito può subentrare all'acquirente al prezzo dichiarato sul rogito. Il diritto di prelazione non scatta se l'appartamento è in un edificio di proprietà unica e il proprietario vende in blocco.

Al di fuori delle sette ipotesi le locazioni durano o 5 oppure 8 anni. Si rinnovano, alle stesse condizioni, rispettivamente per ulteriori 2 o 4 anni se non viene data comunicazione di disdetta mediante raccomandata con avviso di ricevimento con un preavviso di almeno sei mesi, il contratto. La disdetta è quindi essenziale per interrompere il contratto o anche per rinegoziarne gli aspetti economici se si vuole intrattenere il rapporto con il medesimo inquilino
CONTRATTI TRANSITORI
La legge 431 prevede altri due tipi di contratto: transitori e per studenti universitari. Nella pratica sono poco usati, perché impongono ai proprietari vincoli molto forti.

I contratti transitori hanno durata minima di un mese e una massima di un anno e mezzo e prevedono l'obbligo che o proprietario o inquilino documentino la necessità di locare transitoriamente l'immobile. Il proprietario, ad esempio, deve dimostrare che la casa servirà a termine locazione a suo figlio; oppure l'inquilino deve documentare che ha bisogno della casa per una trasferta di lavoro di breve durata. Nei capoluoghi di provincia, nonché nei comuni circostanti Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Torino, Bari, Palermo e Catania, secondo gli accordi territoriali, .i canoni potranno essere superiori, fino al 20%, rispetto a quelli del canone concordato, ma non si gode delle detrazioni fiscali previste per quest'ultimo.

Novità recenti sono state portate, a partire dall'8 giugno, dal decreto ministeriale 10 marzo 2006 del ministero delle Infrastrutture. Esso impone di aggiornare al 100% dell'indice Istat i valori a suo tempo previsti negli accordi territoriali. Più esattamente, la variazione va calcolata a partire dal mese successivo alla data di sottoscrizione dell'ultimo accordo comunale, fino al mese precedente la data di sottoscrizione del nuovo contratto di locazione da stipularsi.

Nel corso del contratto sarà possibile che il proprietario chieda nuovi aggiornamenti del canone, ma al 75% dell'indice Istat. Un'altra novità del decreto è la possibilità di stipulare contratti di locazione anche nei comuni dove non esiste alcun accordo, rifacendosi a quello "del comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione". La responsabilità della scelta compete alle parti che concluderanno il contratto, proprietario e inquilino, per intendersi. Cosa accada poi, se sbaglieranno nell'identificarlo, resta un mistero.
CONTRATTI PER STUDENTI
I contratti a studenti si possono stipulare solo nei comuni sede di ateneo o nei comuni confinanti e solo con studenti iscritti all'Università e residenti in altro comune. La durata del contratto va da 6 a 36 mesi, con rinnovo automatico però per lo stesso periodo, alla prima scadenza, salvo disdetta dell'inquilino. Quindi chi ne fa uso sceglie spesso la durata di 6 mesi, che normalmente si allunga fino a un anno. E' possibile stipularli anche con una pluralità di inquilini ma, in tal caso, dal mese dell'intervenuto recesso, la locazione prosegue nei confronti degli altri, ferma restando la solidarietà del conduttore recedente nel pagamento dei pregressi periodi di affitto. I canoni sono gli stessi concordati per gli affitti da cinque anni, ed anche in questo caso il proprietario ha diritto alle agevolazioni fiscali.

Come accade per i contratti transitori, a partire dall'8 giugno 2006 il decreto ministeriale 10 marzo 2006 del ministero delle Infrastrutture impone di aggiornare al 100% dell'indice Istat i valori a suo tempo previsti negli accordi territoriali. Più esattamente, la variazione va calcolata a partire dal mese successivo alla data di sottoscrizione dell'ultimo accordo comunale, fino al mese precedente la data di sottoscrizione del nuovo contratto di locazione da stipularsi.

Anche nel caso dei contratti per studenti, è possibile che il proprietario chieda nuovi aggiornamenti del canone, ma al 75% dell'indice Istat. Il fatto che sa possibile stipulare contratti di locazione anche nei comuni dove non esiste alcun accordo, rifacendosi a quello "del comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione" è, per gli affitti a studenti, un'ipotesi "di scuola": infatti in tutti o quasi tutti i comuni sedi di Università o di corsi universitari nonché in quelli limitrofi o confinanti gli accordi esistono già.

Vantaggi fiscali. Lo sconto sull'imponibile dei canoni al momento della dichiarazione dei redditi sale, per i proprietari, dal 15% (previsto per tutte le locazioni) al 40,5%. E' però concesso solo nei 717 comuni "ad alta tensione abitativa", identificati dalla delibera Cipe del 13/11/2003, che comprendono tutti i capoluoghi di provincia, i comuni confinanti alle undici grandi città ed altri municipi, in genere quelli con un elevato numero di residenti. . Sempre negli stessi comuni, al momento della registrazione dei contratti, si paga un po' meno. Anziché versare il 2% sul canone di locazione annuo (a metà tra proprietario e inquilino), si paga solo l'1,4%. Infine in molti comuni è concessa anche un'aliquota Ici ridotta (è necessario informarsi).

La Finanziaria 2007 ha introdotto un grosso vantaggio per gli studenti. Sono detraibili i canoni pagati fino all'importo di 2.633 euro (uno sconto notevole). A certe condizioni, però. La prima è che lo studente sia iscritto a un corso di laurea presso una università ubicata in un comune diverso da quello di residenza, distante da quest'ultimo almeno 100 chilometri e comunque in una provincia diversa. La seconda è che l'unità immobiliare sia situata nello stesso comune in cui ha sede l'università o in comuni limitrofi.. Non è chiaro se sia a vantaggio solo dello studente (che dovrà quindi compilare la propria dichiarazione dei redditi e quindi avere entrate tassabili) o anche per i suoi genitori. Dovrebbe, indirettamente, essere un incentivo a scegliere un'università particolarmente lontana da casa propria
Solo in qualche ipotesi si può sfuggire alle norme della legge 431/98 e applicare alla locazione le regole, molto libere, previste dal codice civile, agli articoli 1571-1627 del codice civile. Il caso di gran lunga più diffuso è quello della locazione turistica.

Per essa non esistono di fatto limiti di durata, anche se in genere il periodo non supera l'anno. Non ci sono particolari problemi a stipulare questi contratti, purché riguardino una località con spiccate prerogative turistiche e purché l'inquilino non sia in grado di dimostrare che in realtà a lui la casa serve per abitarvi stabilmente.

Per durate contrattuali inferiori a 30 giorni non c'è nemmeno l'obbligo di registrare il contratto. Alleghiamo un facsimile di quello turistico.

Al di fuori di questa ipotesi, la locazione può avvenire o con le regole del codice civile o con quelle dei contratti concordati quinquennali solo se la casa è accatastata con le categorie A/1, A/8, A/9 oppure ha un vincolo della sovrintendenza ai beni culturali e ambientali, ai sensi delle leggi statali.

Un escamotage usato a suo tempo per aggirare l'equo canone era quello delle "foresterie". Oggi ha perso di senso, visto che il canone è comunque libero. Se il contatto ad uso foresteria sia ancora possibile o no è oggetto ancoradi discussione. Propendiamo per il "Sì".Tuttavia ha ancora un significato se si è di fronte a una vera e propria foresteria, e non a una finzione: l'inquilino non deve essere una persona fisica ma una società, che abbia bisogno dell'immobile per farlo adoperare a dipendenti non residenti. Allora sarà possibile, per la società inquilina, di avvalersi dell'articolo 145 della Finanziaria 2001, che concede la deducibilità dal reddito aziendale, per tre anni, dei canoni.

Se non ricorrono tutte le condizioni per "l'uso foresteria", meglio non avventurarsi su questa strada. Se infatti l'inquilino dimostra che si tratta di uno stratagemma il contratto rimane valido, ma si trasforma in una locazione di cinque anni a canone concordato.

USUCAPIONE

Chi pur non essendo proprietario di un bene si cura con solerzia dello stesso, rispetto al vero proprietario che trascura per molto tempo di esercitare il proprio diritto, può chiedere di diventarne il proprietario.

Ciò significa che un soggetto può acquistare la proprietà di un bene immobile ove ne abbia avuto il possesso (vedi possesso) per un periodo continuativo di almeno 20 anni (1158 cc) ed abbia acquistato detto possesso non clandestinamente (non di nascosto dal proprietario) né violentemente (cioè rompendo cancelli e recinzioni).
In altre parole chi può dimostrare all’autorità giudiziaria di aver pacificamente esercitato il possesso su di un bene per vent'anni può ottenere dal giudice una sentenza che riconosca l'acquisto della proprietà per usucapione. La sentenza di usucapione registrata, trascritta e di cui sono scaduti i termini di opponivilità diventa atto di provenienza a tutti gli effetti giuridici e legali.